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LA CURA DEL FERRO A ROMA


WALTER TOCCI


Nato a Poggio Moiano , nel 1925 è un politico italiano; è stato vicesindaco di Roma nella giunta di Francesco Rutelli dal 1993 al 2001. Si è laureato all’ Università di Roma La Sapienza prima in fisica poi in filosofia. Ha lavorato come ricercatore presso l'azienda di telecomunicazioni Selenia.

È stato consigliere comunale a Roma dal 1985 al 1993, quando si dimise per assumere l'incarico di vicesindaco e assessore alla mobilità nella giunta di Francesco Rutelli che mantenne fino al 2001. In quegli anni ha impostato la strategia della "cura del ferro", avviando il potenziamento del trasporto pubblico nella Capitale.

Una volta eletto alla Camera dei Deputati si è occupato di ricerca e università, tornando agli interessi giovanili che aveva maturato come ricercatore nell'industria elettronica. Ha affiancato al lavoro parlamentare un'attività di studio, pubblicando libri e saggi su Roma e sulla scienza, e assumendo la direzione, fino al 2018, del Centro per la Riforma dello Stato, che si occupa di riforme istituzionali.

Dal 2013 al 2018 è stato Senatore per il Partito Democratico, seguendo in particolare le tematiche della scuola e delle riforme istituzionali.

  

LA CURA DEL FERRO: 

Una strategia della mobilità a Roma deve necessariamente puntare a un nuovo scopo: delineare un modello in cui l'uso del mezzo privato sia limitato e regolato, per svolgere tutt'al più una funzione complementare al trasporto pubblico, soprattutto nella periferia più estrema. Nell'area storica, invece, l'automobile dovrebbe addirittura scomparire, tant'è incompatibile con quel particolare paesaggio urbano.

La «cura del ferro» non è fine a se stessa. Non è soltanto una terapia per dotare Roma di una rete di ferrovie e metropolitane come mai ha avuto. È piuttosto il punto privilegiato da cui partire per riconfigurare la città, con l'obiettivo di centrare i tessuti urbani sui grandi assi di trasporto. Trattasi di un programma ancora attuale e attuabile , Walter Tocci ripercorre e sostiene la possibile soluzione alle problematiche del traffico e della mobilità.

 

Nella progettazione di un nuovo piano per la mobilità tuttavia si è dovuto tener conto di due fattori: 

- I vincoli strutturali della città, le infrastrutture di cui è già dotata, la sua precisa conformazione, da cui ripartire per compiere uno sforzo inedito di programmazione. 

- le certezze politiche, che risiedono nella responsabilità di chi governa e nel programma che vincola il mandato.


La natura del progetto è sia logica sia operativa: da una parte, sono segni tracciati sul foglio, demarcazioni che prefigurano un preciso andamento pianificatori, dall'altra, corrispondono a concretissimi investimenti, progetti, delibere. Una terapia del ferro «cieca» non servirebbe a nulla, perché non entrerebbe nel merito delle trasformazioni urbane, non le governerebbe affatto, perdendo letteralmente il filo urbanistico; tralascerebbe l'essenziale nodo urbanistico, ambientale, economico, trascurando il vero punto fondamentale: l'eccentricità delle funzioni urbane rispetto ai modi di trasporto, il fatto che Roma volti le spalle alla sua ferrovia.

È una questione anche simbolica, che riguarda precisamente l'identità urbana. Basta affacciarsi dal finestrino di un treno che entra in Roma per osservare come la città quasi ignori quei binari mostrando, su quel lato, soltanto il retro dei palazzi, il proprio «lato oscuro». L'attività di pianificazione urbana deve ribaltare anche simbolicamente questo dato, ritessendo un rapporto fra città e ferrovia, e chiamando quest'ultima a svolgere un ruolo decisivo nelle trasformazioni urbane degli anni a venire. Soltanto a queste condizioni il metro cubo può perdere finalmente il proprio valore di variabile indipendente dello sviluppo e le modificazioni urbane viaggiare attorno ai grandi assi di trasporto, secondo una nuova regola di trasformazione.

 

Il progetto 

La «cura del ferro» è partita a Roma nel 1993. Con un accordo fra Comune di Roma e Ferrovie dello Stato (FS). Il progetto partì subito con l’attuazione delle tre tratte ferroviarie integrate con altrettante linee metropolitane , una per passante,  assegnava al tram il compito di distribuire gli utenti in area centrale e semicentrale.

Con i nuovi treni urbani era partita anche l'integrazione dei trasporti pubblici, prima in Italia. Un'integrazione, in primo luogo, tariffaria: con un solo titolo di viaggio (il «Metrebus») si poteva viaggiare su treni FS, autobus Atac e Cotral, metropolitane e tram. In secondo luogo, gestionale: ci avviamo verso l'azienda regionale della mobilità, per unificare il comando e la gestione di tutto il trasporto locale

Dopo  la realizzazione di quelle prime tre ferrovie è stato purtroppo abbandonato, e nessuna nuova opera è stata portata a termine né progettata.

  

Concetto di anello e passante



Roma poggia su una formidabile struttura anulare (il cosiddetto Anello ferroviario o «cintura») che circonda la città più compatta e si apre, quindi, al territorio regionale. Il modello romano prevede che i treni regionali non penetrino più in zona centrale, ma entrino nei tre passanti e incontrino lungo l'anello una delle tre metropolitane, che servono tre aree diverse del centro. L'effetto che si ottiene è il definitivo superamento della convergenza del traffico verso il centro.

Pensando all’attuazione di un’opera ferroviaria nell’arco mancante tra Vigna Clara e l’asse Salario, ci si riferisce alla questione dell’anelllo.


“Un’opera necessaria in un’ottica di pianificazione della rete a lungo termine, ma non giustificata dalla domanda attuale degli utenti. Ritengo che a breve termine sarebbe meglio investire sui passanti, mentre a lungo termine emergono i vantaggi della chiusura dell’anello poiché questi una volta ultimati dovranno attraversare la città utilizzando anche l’arco nord e non solo quello sud come oggi”

 

passanti ferroviari e lo sviluppo della rete metropolitana romana

La logica dei passanti si rivela ancora più importante se riferita alle metropolitane in città. La linea C è stata pensata come grande connettore urbano per risolvere tre problemi strategici: integrare con la città l’estesa e frammentata periferia orientale. Oggi la A e la B si incontrano infatti in un solo punto, ma unite alla C formano una doppia maglia tra San Giovanni, Colosseo, Termini e Ottaviano. La linea C, servendo il cuore del centro storico, crea le condizioni strutturali, insieme ai nuovi tram, per una vera pedonalizzazione. È fondamentale secondo Tocci rilanciare la credibilità del progetto della linea C, senza nascondersi dietro le difficoltà archeologiche che, al contrario, possono diventare opportunità, come previsto dal progetto originario redatto secondo il “metodo Roma”, introdotto da Adriano La Regina.

 

Un punto saliente del progetto e l’esempio della metro C


Collocare i volumi delle stazioni a circa trenta metri di profondità, evitando l’impatto archeologico e attraversando lo strato antico soprastante solo con le scale mobili, che possono passare in modo non invasivo anche vicino ai reperti, rendendoli visibili ai viaggiatori; così concepite, le stazioni aiuterebbero a scoprire una Roma ancora sconosciuta.

La linea C è stata tra l’altro progettata per rendere attuabile il progetto Fori. Con la metro C si potrebbe infatti pedonalizzare totalmente l’area, eliminando lo stradone del tutto estraneo al paesaggio storico e recuperando la geometria e le connessioni delle piazze imperiali. La versione originaria del progetto della linea C disegnava sotto il viale e in connessione con la stazione Colosseo un grande foyer di ingresso al parco dei Fori. I cittadini uscendo dalla metropolitana avrebbero trovato un grande ambiente di servizi e di accoglienza, prima di entrare nell’area archeologica all’altezza del Foro della Pace. Questa versione del progetto è stata purtroppo abbandonata nel 2010 , l’area ipogea viene interamente bloccata dagli impianti della metropolitana, rinunciando alla possibilità di dare al parco dei Fori una formidabile porta sotterranea di accesso.

“È la conseguenza del ritorno a una progettazione separata tra ingegneri e archeologi: i primi vedono solo il problema funzionale e i secondi rinunciano a proporre soluzioni limitandosi a gestire i vincoli”. 

 

La funzione dei tram


Riguardo al tram, Roma era dotata di una fra le più belle reti europee, che è stata smantellata progressivamente nel corso degli anni, sino a consegnarci una città egemonizzata dalla gomma. Il rilancio del tram è oggi uno dei punti fermi del Piano della mobilità: la vecchia rete è stata ristrutturata, una nuova linea che riporta il tram in centro è in costruzione e altre sono in programma, già finanziate. La nuova «rete su ferro», almeno come il Piano la prefigura, è progettata per guidare le trasformazioni urbane, mantenendo lo sviluppo lungo gli assi che costituiscono l'armatura del ferro.

Consideriamo innanzitutto che Roma nelle direzioni radiali sprovviste di metro presenta flussi di mobilità di circa 3-4 mila passeggeri/ora. Sono livelli di domanda troppo alti per essere serviti dagli autobus. È su tali direttrici che è necessario il rilancio del tram, una modalità di trasporto che, a costi di investimento dieci volte più bassi delle metropolitane, realizza un’offerta di trasporto più potente degli autobus. 

 

Tram pedonale

Il tram può rappresentare un importante strumento di riqualificazione e ricucitura urbana e non solo una semplice infrastruttura.

A Roma si potrebbero realizzare tre passanti centrali, che coprirebbero tutte le direttrici non servite dalle quattro metropolitane, più un passante periferico nell’area orientale della città. I tre passanti centrali sarebbero perfettamente integrati con le reti metropolitane e ferroviarie, garantendo a queste la distribuzione capillare dei flussi e l’integrale accessibilità dei luoghi. Non sarebbero solo infrastrutture di trasporto, ma creerebbero l’occasione per ripensare la funzione e l’immagine delle vecchie consolari, facendone i più bei viali di Roma contemporanea. I lavori necessari alla realizzazione degli impianti tranviari offrirebbero l’opportunità per fare una buona manutenzione delle vecchie reti urbane - spesso in pessime condizioni  e allo stesso tempo per posare le nuove reti tecnologiche digitali. In alcuni casi si potrebbero realizzare nel sottosuolo parcheggi lineari lungo l’asse stradale, togliendo dalla superficie le automobili dei residenti e restituendo spazio pubblico ai pedoni. In superficie si dovrebbe riqualificare l’architettura delle strade e potenziarne l’uso pedonale con il rifacimento delle pavimentazioni, un nuovo design dell’arredo urbano, l’uso sapiente del verde e dell’acqua, la creazione di luoghi di ristoro e di pausa. Questa operazione cambierebbe il volto della città, come non sarebbe possibile in nessun altro modo. Le vie consolari tornerebbero a essere la trama del tessuto urbano e ritroverebbero l’originario carattere di transito che nell’antichità costituiva l’annuncio della città per chi arrivava e il ricordo per chi partiva. Tale rinascita si può stimolare solo col tram, in quanto strumento in grado di agire contestualmente sui processi strutturali, funzionali e simbolici.

 

Conclusione Parole di Tocci:

«La mia idea potrebbe sembrare un disegno irrealistico che non tiene conto dei vincoli finanziari e attuativi. Non è così. Che si realizzi poco o tanto, le singole opere devono essere giustificate da un progetto più ambizioso che ne garantisca la coerenza spaziale e temporale. Le linee tranviarie e metropolitane devono essere integrate a larga scala, altrimenti non si ottiene l’effetto rete e, a parità di costi, diminuisce l’efficacia. Riguardo alle difficoltà dell’attuazione, la vera causa del problema risiede nell’aver smarrito la cultura del progetto che va ricostruita, innanzitutto svincolando la progettazione dal finanziamento. Oggi, infatti, si comincia a disegnare un’opera solo dopo aver ottenuto i fondi, accumulando già in partenza un ritardo che impedisce di bandire subito l’appalto, crea l’affanno dei soldi non spesi e devia l’attività di progettazione verso scorciatoie e semplificazioni. Le Amministrazioni dovrebbero invece progettare prima di ottenere i finanziamenti, dotandosi di progetti esecutivi, elaborati senza affanno, pronti per essere appaltati non appena si rendono disponibili i fondi. Occorre ricostruire un’intelligenza pubblica per guidare la trasformazione. Un’istituzione che non è in grado di progettare la città non potrà neppure intervenire per cambiarla».


Sitografia di riferimento: 

https://download.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1997_352_6.pdf

https://www.ar-architettiroma.it/ar-archivio/archivio/153-ar-177-interviste/578-walter-tocci-la-cura-del-ferro.html


 Dal sito Metrovia

 https://metroviaroma.it/metrovia-linea-tram/metrotram-linea-t2/


In 10 anni le metro di superficie

Fissando in una timeline ideale le tempistiche necessarie per la realizzazione dell’intero sistema, la rete metropolitana di superficie si può completare in 10 anni. La chiave di volta è quella di lavorare per step successivi, ciascuno in grado di portare risultati tangibili.

Il diagramma qui sotto tiene conto di ciò che si può cominciare subito, di ciò che richiede un aggiornamento del PUMS, di ciò che è opportuno anticipare o posticipare, nell’economia generale del sistema.

I lavori, tranne pochissimi casi, non richiederanno l’interruzione del servizio ferroviario.

In 10 anni anche la maggior parte dei Metrotram

Nell’arco del primo quinquennio si possono avviare buona parte delle linee metrotramviarie, in alcuni casi limitandosi ad un’ampia tratta e rinviando il prolungamento ad una fase successiva, in altri casi attendendo prima la modifica del PUMS per procedere poi ad una realizzazione integrale della linea.
Per le altre linee (o tronchi di linea) occorre attendere prima il completamento dei lavori relativi ad altri segmenti dell’intero sistema Metrovia.
Lo schema qui sotto dà comunque un’idea soddisfacente dei vari step di realizzazione delle linee metrotram:

20 anni per completare la rete del ferro

La realizzazione dell’intero sistema della rete del ferro si completa in 20 anni. Nei primi 10 vedono la luce le linee metropolitane di superficie e la maggior parte dei metrotram. I restanti 10 sono dedicati al completamento delle estensioni ipogee.
La sequenza delle opere tiene conto della necessità di sequenziare gli interventi, per evitare i costi e le difficoltà di una gestione in simultanea di troppe attività.

Roma è molto lontana dagli standard di mobilità delle grandi capitali europee e sconta un ritardo abissale sull’efficienza del trasporto pubblico, che si traduce in caos, traffico, smog. Degli oltre 6 milioni di spostamenti quotidiani, solo il 22,1% è supportato da trasporto pubblico (contro una media delle capitali europee del 40%).

Per non parlare delle auto che affollano la nostra città: vantiamo il record di 64 auto ogni 100 abitanti, più di chiunque altro in Europa.

Le centraline che monitorano la qualità dell'aria sforano i limiti, sempre e ovunque, costringendo di tanto in tanto le amministrazioni ai palliativi dei blocchi  del traffico, che non restituiscono aria pulita né risolvono una grave crisi di sistema, e comportando multe per mancato rispetto dei limiti sugli NOx da parte della Corte UE.

La soluzione è il riuso della rete del ferro, urbana e regionale.

Le soluzioni agiscono su entrambi i fronti, con interventi che rispondono a finalità contrapposte, ma del tutto complementari.

Un sistema di trasporto di massa veloceintegrato e capillare. Un piano complessivo di sviluppo della mobilità su rotaia, improntato a semplicità, concretezza, rapidità, nel cui quadro inserire poi interventi infrastrutturali a sostegno della mobilità dolce e di rigenerazione urbana.

Alla rete primaria del servizio metropolitano, Metrovia 2023 affianca una maglia secondaria di mobilità urbana su ferro, ad alta efficienza: i Metrotram

18 linee , 185 Km (di cui ben 155 nuovi) di corsie dedicate ed esclusive con asservimento semaforico, sottopassi, banchine attrezzate, fermate collegate alla rete  metropolitana per facilitare gli scambi. E convogli rapidi e capienti. Metrotram così efficaci da sostituirsi al mezzo privato.

Questa è la rete metrotranviaria che abbiamo pensato, sul modello dei più avanzati esempi europei. Una rete capace di completare il sistema, riducendo al minimo le aree urbane che restano distanti oltre 500 metri dalla rete.

Una rete che cambia la mobilità: finalmente, più spazio alle ciclabili e alle aree pedonali. E un volano di trasformazione del paesaggio urbano.

Roma ha bisogno innanzitutto di una rete su ferro che metta in connessione tratte urbane delle ferrovie e metropolitane ipogee in un sistema di servizio metropolitano integrato: le linee M. Cui si aggiunge un servizio ferroviario urbano circolare, la MO.

E poi ha bisogno di completare questa connessione con due scale di intervento:
– la grande scala dei treni suburbani (e regionali), le linee S;
– e la piccola scala dei metrotram, le line T.

Quindi metropolitane ipogee e di superficie, capillari e frequenti.
Ferrovie suburbane per collegare i centri della città Metropolitana e del Lazio con passaggi veloci dentro Roma.
E poi una maglia ausiliaria di ricucitura interna: non semplici tram, ma Metrotram di moderna concezione, veloci, regolari ed efficienti.

Quindi Metrovia 2023 comprende:

-Le linee M suddivise in: 4 linee sotterranee (M1,M2,M3,M105 linee metropolitane di superficie (M4,M5,M6,M7,M81 linea di superficie che si estende in sotterranea (M9)
-La Circle line : 1 linea circolare ferroviaria (MO)
-Le linee S: 13 linee ferroviarie suburbane
-Le line T18 linee di metrotram

Ricerca a cura di:

Roberta Recchia Ottavia Popiel , click: BLOG DEL BUDDY



 

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  LA STORIA: La mia famiglia è originaria della Polonia, che ,al tempo, era un paese di matrice collinare non urbanizzato, dove la natura predominava sul costruito. I miei genitori sono nati e cresciuti li finchè mio padre non decise  (portando con se successivamente mia madre) di trasferirsi in Italia per questioni economiche, essendo l’est Europa prevalentemente povero e con poche opportunità per adulti e bambini. Così a diciotto anni venne a Roma, città dove nacqui io. Crebbi così in due mondi paralleli (poiché due volte l’anno andavamo in Polonia per diversi mesi). Vedevo e vivevo queste due realtà contrastanti;  Roma era la mia città natale a cui sono sempre stata molto legata , tuttavia mi sentivo molto limitata nelle mie scelte  e nella mia autonomia fin da piccolina. Qui tutti i bambini venivano accompagnati e ripresi da scuola , io stessa avevo una babysitter che stava con me nell’arco di tempo in cui i miei genitori lavoravano . Per andare a giocare nella natura con gli altri